Senza incorrere in demagogia inutile, ma cercando di centrare il problema, l’assistenzialismo a sbafo ha creato una notevole povertà culturale, calpestando i diritti di chi lavorando onestamente e dignitosamente onora le imposte richieste.
Non è mia assoluta intenzione negare il problema povertà che attanaglia molte famiglie, ma di far emergere (lo spero), l’ingiustizia sociale che, nel nome della equiparazione dei “diritti”, surclassa i ceti produttivi di questo Paese.
Sgombrato il campo dei soggetti che per menomazione di salute o perdita improvvisa del posto di lavoro si trovano a dover essere giustamente assistiti economicamente dalla collettività, c’è una buona fetta di persone che soffrono di povertà educativa e sociale dipesa da vizi (gioco d’azzardo, tossicodipendenza etc), affari illeciti e parassitismo, che rendono difficile la concezione della responsabilità lavorativa.
È lì che si concentra il populismo di certe componenti politiche che per accaparrarsi voti, iniettano nei mass media e successivamente in Gazzetta Ufficiale o in Regolamenti Comunali, provvedimenti legislativi atti ad incentivare sempre più lo snobismo lavorativo, alimentando così, l’assistenzialismo becero ed improduttivo.
Tali comportamenti normativi accrescono il vandalismo culturale ed i susseguenti effetti collaterali, primo tra tutti l’odio sociale tra chi produce e chi “siede sul divano”.
Credo che ormai, tramontata la stagione degli spot elettorali, sia giunto il momento di riformare seriamente i parametri di attribuzione di povertà assoluta (sacrosanta tutela per le fasce deboli) e mettere mano alla riforma fiscale, favorendo la meritocrazia e l’impegno per la creazione di posti di lavori capaci di dare una scossa culturale agli “svogliati”, e nel contempo restituire dignità a chi, tra mille difficoltà e preoccupazioni, lavora dignitosamente.
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